Lo studio della Dottoressa Procopio è situato
a Roma in Via delle Fornaci n. 35.
Albo Nazionale degli Psicologi
La dottoressa Procopio è iscritta all'Albo Nazionale degli Psicologi al Numero 13636.
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Dr.ssa Laura Procopio
Comprare biglietti della lotteria, i gratta e vinci, scommettere ai cavalli, giocare al lotto, la schedina, con i videopokers, e i numerosi giochi offerti dai casinò sono tutte le varie forme in cui si manifesta questa attività che il senso comune considera come un passatempo o un’abitudine sociale.
Tali comportamenti, invece, possono rappresentare “un sintomo” di un disturbo patologico quando si verifica un’eccessiva polarizzazione mentale sulle giocate e si dedica ad esse una quantità sproporzionata di tempo, con conseguenze economiche negative.
La dipendenza da gioco d’azzardo si manifesta con l’impossibilità per un soggetto di resistere all’impulso a fare una determinata cosa (compulsività), e tale disturbo, in assenza di adeguati trattamenti, evolve verso forme sempre più gravi (progressività). Inoltre, risulta impossibile guarire da questa problematica spontaneamente (cronicità).
La scienza ufficiale ha riconosciuto il gioco d’azzardo patologico come disturbo mentale nel 1980 (DSM III). Nel DSM IV- TR è stato classificato nei Disturbi del controllo degli impulsi non classificato altrove. I criteri diagnostici sono:
Persistente e ricorrente comportamento di gioco d’azzardo maladattivo, che compromette le attività personali, familiari o lavorative, come indicato da 5 o più dei seguenti criteri:
Il giocatore compulsivo non gioca per guadagno materiale, ma per il piacere che deriva dall’attività di gioco.
Il gioco patologico presenta un alto livello di comorbilità con i disturbi dell’umore (es. umore elevato), l’alcolismo, l’uso di sostanze, i disturbi di personalità (narcisistico, borderline ed antisociale), i disturbi del controllo degli impulsi ed il disturbo d'ansia (“arousal” molto elevata ad esiti compulsivi). Inoltre, il gioco eccessivo può dipendere da compromissioni neurologiche prevalentemente a danno del lobo frontale.
Le fasi caratterizzanti il passaggio da gioco sano a gioco patologico (Custer, 1982) possono essere le seguenti: fase vincente (gioco occasionale con vincite frequenti, eccitazione); fase perdente (gioco solitario, perdite, pensiero polarizzato sul gioco, menzogne, irritazione, agitazione e ritiro, aumento di debiti); fase di disperazione (aumento del tempo e del denaro dedicati al gioco); fase della perdita della speranza (pensieri e tentativi di suicidio, crollo emotivo e sintomi di ritiro, conseguenze negative: arresto, divorzio, abuso di alcool, ecc.); fase critica (desiderio di essere aiutato, smette di giocare, ritorna a lavorare, pensando alla soluzione dei problemi); fase di ricostruzione (migliorano i rapporti familiari, si torna a rispettare se stessi, sviluppando delle mete e passando più tempo con la famiglia); fase di crescita (diminuisce la preoccupazione legata al gioco, maggiore introspezione e comprensione per gli altri, manifestandogli il proprio affetto).
Le motivazioni generali di tale disturbo possono essere caratterizzate dalla vita relazionale insoddisfacente, specialmente dal punto di vista sessuale. Il giocatore patologico non ottiene ciò che desidera sia come frequenza sia come qualità di rapporto, sperimentando, durante la giornata, più emozioni spiacevoli che piacevoli. Come conseguenza si accosta al gioco, almeno in un primo periodo, non tanto per vincere, quanto per ottenere quell’eccitazione emotiva che gli manca. Si trattiene spesso fuori casa, dove non si trova più a suo agio. Ha una vita sociale povera, ricercando, in misura maggiore della media, sensazioni forti (sensation seeking) e per lo più rischiose (risk taking behavior).
Il giocatore patologico persegue rigidamente il suo comportamento disadattivo, non cambiando le sue strategie, nonostante i continui feedback dissuasivi che gli pervengono. Tale tratto, come documentato dagli esami neuropsicologici, può essere causato dalla presenza di deficit in determinati compiti strutturati di problem solving attribuibili ad un ipometabolismo a carico della regione prefrontale, simili a quelli riscontrabili in vari pazienti neurologici con lesioni o disfunzioni ai lobi frontali e fronto-temporali.
Il giocatore che ha superato la soglia del cosiddetto gioco sociale non accede quasi mai spontaneamente allo studio dello specialista. Sono quasi sempre i familiari dei "giocatori patologici" che, per primi, colgono i segni della patologia in atto. Si rivolgono allo psicoterapeuta come l’ultima spiaggia per riuscire a modificare una dipendenza che ha portato la famiglia al dissesto economico, con accumulo di ipoteche e debiti.
Cesare Guerreschi (2003) individua 6 categorie di giocatori patologici (alle prime due appartengono le vittime del gioco):
Roma, gennaio 2012